Cosa succede se un Patto di prova in un contratto di lavoro dirigenziale viene stabilito in una durata superiore a quella indicata dal CCNL Dirigenti?
Si tratta di una clausola che deve ritenersi più sfavorevole per il dirigente e, come tale, è sostituita di diritto ex art. 2077, secondo comma cod. civ., salvo che il prolungamento si risolva in concreto in una posizione di favore per il lavoratore, con onere probatorio gravante sul datore di lavoro.
Ciò è quanto stabilisce la Corte di Appello di Bologna che confermava la sentenza del Tribunale di Parma che aveva respinto la domanda proposta dal ricorrente nei confronti della società datrice di lavoro avente ad oggetto l’accertamento della nullità del patto di prova del proprio contratto di lavoro in quanto la sua durata era superiore a quella prevista, per la qualifica del ricorrente, dal CCNL applicato al rapporto. Il ricorrente, pertanto, impugnava anche la sentenza di secondo grado. La Corte di Cassazione nell’accogliere il ricorso del ricorrente afferma che «la clausola del contratto individuale di lavoro con cui sia previsto un periodo di prova di durata maggiore di quella massima prevista dal contratto collettivo applicabile al rapporto può ritenersi legittima solo nel caso in cui la particolare complessità delle mansioni di cui sia convenuto l’affidamento al lavoratore renda necessario, ai fini di un valido esperimento e nell’interesse di entrambe le parti, un periodo più lungo di quello ritenuto congruo dalle parti collettive per la normalità dei casi; il relativo onere probatorio ricade sul datore di lavoro, a cui la maggiore durata del periodo di prova attribuisce una più ampia facoltà di licenziamento per mancato superamento della prova».Conclude, quindi, la Corte di Cassazione, sostenendo che l’onere della forma scritta (c.d. ad substantiam) del patto di prova è stato imposto a tutela del contraente più debole in un regime di sfavore per il patto di prova, considerato come eccezionale rispetto alle condizioni protettive assicurate dal contratto a tempo indeterminato specialmente per quanto riguarda il recesso. Pertanto, «lo sfavore del legislatore verso il patto di prova trova pieno conforto nell’orientamento di questa Corte secondo cui il lavoratore ha interesse a che il periodo di prova sia minimo, o comunque non superi il tempo strettamente necessario alla verifica della sua capacità tecnico professionale (Cass.5 marzo 1982 n. 1354; Cass.25 ottobre 1993 n. 10587); da ciò discende, in linea di principio, la nullità dei patti diretti a prolungare la durata della prova rispetto a quanto determinato dalle parti sociali».