Secondo l’art. 1 del CCNL per i Dirigenti di aziende produttrici di beni e servizi “sono Dirigenti i prestatori di lavoro per i quali sussistano le condizioni di subordinazione di cui all’art. 2094 del cod. civ. e che ricoprono nell’azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplicano le loro funzioni al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa”.
Dunque, il dirigente è quel soggetto che, all’interno dell’azienda, attraverso le proprie competenze professionali, mette in atto le direttive del datore di lavoro, organizzando l’attività e vigilando sul corretto svolgimento di quest’ultima. In altre parole, il dirigente è una sorta di “alter ego” dell’imprenditore.
Poiché collocato in posizione di superiorità gerarchica su tutto o gran parte del personale dipendente, il dirigente è legato al datore di lavoro da un rapporto fortemente fiduciario che, tuttavia, rischia spesso di essere leso per comportamenti o fatti che determinano il suo licenziamento.
Quando si parla di licenziamento del dirigente, particolare importanza riveste la nozione di giustificatezza.
Tale nozione è stata infatti introdotta negli anni Settanta nei contratti collettivi di lavoro applicabili ai dirigenti, a tutela del licenziamento di questi ultimi, che risulta essere molto più grave rispetto a quello di un dipendente.
La nozione di giustificatezza è completamente autonoma e svincolata da quella di giusta causa o di giustificato motivo di licenziamento.
Il giustificato motivo di licenziamento si distingue in soggettivo e oggettivo. Mentre il primo è relativo ad un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, il secondo è legato a ragioni inerenti all’attività produttiva ed al regolare funzionamento di essa.
L’intimazione di licenziamento per giusta causa avviene invece quando è stato accertato che la condotta ha avuto un carattere lesivo tale non soltanto da giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro, ma anche da non consentire al licenziato la prosecuzione provvisoria per il tempo necessario a trovare una nuova occupazione.
Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, la ricorrenza della giustificatezza dell’atto risolutivo va correlata alla presenza di validi motivi di cessazione del rapporto lavorativo, come tali apprezzabili sotto il profilo della correttezza e della buona fede, sicché non è giustificato il licenziamento per ragioni meramente pretestuose, al limite della discriminazione, o anche del tutto irrispettoso delle norme procedimentali che assicurano la correttezza dell’esercizio del diritto relativo da parte dell’imprenditore.
Del resto, la nozione di giustificatezza è ravvisabile ove sussista l’esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione della figura dirigenziale in attuazione di un riassetto societario e anche ove non emerga, in base ad elementi oggettivi, la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione. In tali casi, il giudice deve limitarsi al controllo sull’effettività delle scelte imprenditoriali poste a base del licenziamento, dal momento che non può sindacare il merito di tali scelte, garantite dal precetto di cui all’art. 41 Cost.
Inoltre, ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, è rilevante qualunque motivo che lo sorregga, con motivazione coerente e fondata su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, considerato che non occorre un’analitica verifica di specifiche condizioni, essendo invece sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente.
Un caso particolarmente significativo di ritenuta giustificatezza del licenziamento è quello relativo al manager che, attraverso comportamenti conflittuali, ha creato un contrasto insanabile con la società. In particolare, ciò avveniva mediante: l’invio al suo diretto superiore di numerose comunicazioni scritte, caratterizzate da atteggiamenti rigidi, volti a porre la direzione nella necessità di scegliere tra l’uno o l’altro; le lamentele presso la direzione, false nei presupposti di fatto; i tentativi di seminare disaccordo tra gli altri dirigenti e di sobillare le impiegate; l’invio al presidente di numerose lettere, di contenuto a tratti “delirante” (Cass. 12 ottobre 1996, n. 8964).