È nullo il licenziamento del dirigente, motivato dalla soppressione della posizione lavorativa ricoperta, per violazione della norma dettata dall’art. 46 D.L. n. 18/2020, che vietava l’adozione di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo durante la crisi sanitaria da Covid 19; trattandosi di nullità virtuale secondo l’art. 1418 cod. civ. ad essa consegue la reintegrazione del dirigente…
Spetta anche al dirigente il pagamento dell’indennità per le ferie non godute
L’esercizio del diritto di critica, nel rispetto dei limiti tracciati, e soprattutto la presentazione di una denuncia di illecito penale o amministrativo da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro non integrano di per sé fonte di responsabilità disciplinare e giustificare il licenziamento per giusta causa, a meno che la denuncia non abbia…
Nella mia esperienza sono diverse e molteplici le ipotesi in cui il Dirigente vive un’esperienza di cessazione del rapporto di lavoro. La risoluzione del rapporto di lavoro del Dirigente, in linea di massima, avviene o per motivi oggettivi (come nell’ipotesi di crisi aziendale, ristrutturazione, riorganizzazione, soppressione della posizione), para-oggettivi (come nelle ipotesi in cui vi è una divergenza indissolubile sulla gestione del lavoro) o soggettivi (nell’ipotesi in cui venga ascritto al dirigente una condotta disciplinarmente rilevante).
Normalmente, solo nei primi due casi si aprono delle possibilità di negoziare con l’azienda la buonuscita del Dirigente.
Nella gestione dell’uscita, a mio parere, devono anzitutto essere ben chiari gli obiettivi, perchè solo a fronte della chiarezza di ciò che si vuole si può ottenere un risultato in linea con le aspettative.
Chiaramente, nella mia esperienza, l’obiettivo che mi viene rappresentato è quello di massimizzare il valore economico della buonuscita. Per quanto importante, il valore economico dell’accordo è solo un aspetto della gestione della buonuscita.
Negli accordi, infatti, è possibile negoziare ulteriori condizioni, quali, solo a titolo esemplificativo: la fornitura di un servizio di outplacement; l’individuazione di un periodo di aspettativa (retribuita o meno) prima della risoluzione, utile a individuare un’occasione di lavoro mentre si è ancora occupati, ovvero quando si ha maggiore potere di negoziazione sul mercato; il titolo della risoluzione, perché dal titolo della risoluzione dipende, ad esempio, l’accesso al trattamento di disoccupazione; l’assoggettamento fiscale e contributivo degli importi erogati; la gestione del passaggio di informazioni; la cessione dei beni aziendali (auto, telefono, pc, ecc.); le polizze assicurative; le referenze in uscita; la gestione della retribuzione variabile per l’anno in corso.
Ciascuno di questi elementi ha un valore economico, direttamente o indirettamente quantificabile.
E’ quindi bene che il Dirigente, anzitutto, quando si trovi dinnanzi a una ipotesi di risoluzione, ragioni ad ampio raggio su quali possano essere i propri obiettivi anche, e soprattutto, nell’ottica di cosa vorrà fare dopo la cessazione del rapporto.
Sul piano pratico, nella mia esperienza le leve su cui negoziare dipendono, chiaramente, dai singoli casi ma alcune regole valgono per la generalità dei casi: mai mostrare interesse esclusivamente per gli aspetti economici; mai agire di impulso, e sbilanciarsi su una proposta della controparte (meglio cercare – sempre – di restare neutrali, e concedersi il tempo di ragionare su quanto discusso); valutare con un professionista – preferibilmente un Avvocato del Lavoro – la fattispecie per capirne ogni aspetto. Anche i contenuti economici di una proposta, infatti, debbono essere letti con l’aiuto di un tecnico (per valorizzare tutti gli elementi retributivi e contributivi).
C’è infine da ricordare che, molto spesso, le uscite più che fallimenti, sono vere e proprie occasioni ed è bene quindi gestirle nella maniera più ragionata possibile.